La diagnosi di una neoplasia scatena immediatamente una serie di reazioni, tra le quali l’ansia è sicuramente fra le più presenti.
Sorgono immediatamente paure, isolamento sociale, gestione complessa delle terapie, impatto emotivo sulle famiglia, sugli amici e nell’ambito del lavoro.
Il paziente al quale è stata fatta la diagnosi di tumore è pervaso dal sentimento angoscioso di morte che induce ad una perdita di stabilità.
Il dover affrontare una diagnosi che fa paura ed un futuro incerto, con esiti del trattamento poco prevedibili, induce ansia per ciò che accadrà e per come accadrà.
Quali paure emergono?
Nei casi di diagnosi più estrema emerge la paura di morire: il cancro è identificato come una malattia ad alto rischio di mortalità.
Poi emerge la paura di soffrire: i pazienti si chiedono se e fino a che punto soffriranno, sia per la malattia che per le terapie, in primis la chemioterapia.
In certi casi potrebbe emergere la paura della mutilazione, ad esempio quando al paziente viene proposto un intervento chirurgico radicale per l’asportazione del tumore, tipo l’isterectomia o la mastectomia (minaccia della perdita della propria femminilità).
Si genera anche una paura della modificazione della propria immagine corporea: l’ansia legata a questa realtà è ancora molto diffusa soprattutto per quanto riguarda la perdita dei capelli in seguito a trattamento chemioterapico. Spesso ne consegue un isolamento sociale, per un periodo più o meno lungo, perché non ci si accetta senza capelli, faticando ad adattarsi alla diversa realtà di parrucca o foulard.
Emerge poi la paura delle conseguenze sociali: il tumore è di frequente responsabile di modificazioni del ruolo sociale, familiare e professionale. La perdita di autonomia e di controllo sull’ambiente circostante è percepita come una delle conseguenze più angoscianti del cancro.
Infine si ha a che fare con un disagio psicologico e senso di colpa: il disagio si riferisce alla situazione di incertezza, alla difficoltà di comprendere la malattia e darne una spiegazione razionale; il senso di colpa si manifesta in quanto il paziente non vorrebbe pesare sui propri familiari e non vorrebbe essere la causa della preoccupazione e del dolore che percepisce attorno a sé.
Quale aiuto?
E’ estremamente importante per i malati l’essere presi in considerazione da qualcuno che si interessi alle loro reazioni, alle loro forze, speranze e frustrazioni. Qualcuno che ascolti davvero e non scappi via in fretta.
Un ascolto di qualità richiede che l’attenzione sia diretta non solo all’altro, ma anche alla propria interiorità. Chi ascolta deve saper restare concentrato sulle sensazioni, sui sentimenti e sulle intuizioni che emergono dentro di sé perché è proprio questa la chiave che gli consente di entrare in risonanza con l’altro.
La presenza autentica “dell’altro” induce nel malato la possibilità di esserci, di mantenere la propria individualità.
Un’attenzione affettuosa consente di accogliere la sofferenza, le paure, le preoccupazioni.
Potrebbe inoltre essere un grande sollievo riuscire a vivere il momento reale del “qui ed ora” allietato dalla compagnia dei familiari o degli amici.
Con la malattia sorgono domande esistenziali ed inerenti la morte: è importante condividere tali ansie ed interrogativi per non sentirsi soli, per trovare là dov’è possibile un senso a ciò che si manifesta e alla nostra direzione.
Se tocchiamo con mano il carattere precario della vita, ci accorgiamo di quanto sia preziosa. Questo rimette tutto in prospettiva, ci incoraggia a vivere pienamente ogni attimo. L’incontro con la sofferenza induce a vivere in modo autentico, dando il giusto valore alle cose e persone.
Ricordiamoci che si può sempre amare ed essere amati in ogni piccolo momento o gesto del quotidiano ed è questo ciò che conta e che rende la vita degna di essere vissuta.
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