Per comprendere cosa sono le subpersonalità dobbiamo partire dal concetto di personalità che in psicologia viene usato molto spesso. Personalità deriva dal latino persona (maschera), che a sua volta dovrebbe derivare dalla parola greca prosopon che indica il volto dell’individuo, ma anche la maschera dell’attore e il personaggio da esso derivato. Le maschere venivano usate nell’antico teatro greco, prima, e poi in quello latino, per caratterizzare i vari personaggi all’interno delle rappresentazioni, in modo da riconoscerli e identificarli tramite le loro caratteristiche proto-tipiche.
Si potrebbe dire che la personalità è un insieme di maschere o subpersonalità, ognuna delle quali può venire utilizzata a seconda delle situazioni che un individuo affronta sul palcoscenico della vita. Basta osservarci in una nostra giornata tipo per notare quante parti di noi mettiamo in campo: con il nostro capo ufficio siamo in un modo, a casa siamo in un altro, con i nostri amici in un altro ancora e via così. Lo psicologo William James diceva che ci sono tante parti di noi quante sono le persone con cui entriamo in relazione. Possiamo affermare che siamo una moltitudine; per cui chi si descrive tutto di un pezzo, con precisione da scalpellino, non fa altro che ridurre se stesso.
È prassi comune, invece, nella maggior parte delle persone percepirsi un tutt’uno. Ma noi non siamo dei monoliti di marmo. Anche se l’immagine riflessa nello specchio ci da l’idea di una unità concreta, dentro di noi albergano tante diverse personalità, ognuna con la sua maschera, le sue abitudini, i suoi bisogni. In psicosintesi, queste maschere vengono definite subpersonalità.
Malgrado non siamo consapevoli di questo, le subpersonalità sono tutti aspetti di noi, modi di essere che mettiamo in campo in situazioni specifiche. Sono espressione di un meccanismo psicologico che domina il nostro vivere quotidiano ossia: l’identificazione. Ci si può infatti identificare in uno stile di vita, in ruoli lavorativi (manager, avvocato, psicologo, soldato, ecc.) o familiari (madre, padre, figlio/a, ecc.), nelle mode del momento (capelloni, freak, hippie, punk, dark, paninari, ecc.), o in più cose contemporaneamente. Ogni ruolo ha il suo vestito, appunto la sua maschera. A volte accade che siamo talmente attaccati alla nostra maschera da tanto tempo che non riusciamo più a prenderne le giuste distanze. Come per esempio nel film “Il Comandante” dove Totò impersonifica un generale in pensione che non riesce a vestire i “panni da civile” e, di conseguenza, a rinunciare agli abituali “panni da militare”. È talmente attaccato al suo ruolo che quello diventa l’unico modo con cui riesce a relazionarsi con il mondo esterno causandogli non pochi problemi.
L’identificazione così forte, il vivere sempre in essa, impedisce alla persona di crescere.
“Non occorrono particolari capacità di introspezione per rendersi conto che la nostra mente funziona per sottosistemi o parti. E’ esperienza comune riconoscere che al nostro interno albergano desideri e aspirazioni diverse, spesso in conflitto. Vogliamo sposarci, ma vogliamo anche essere liberi come prima. Desideriamo una carriera di successo, ma non ci va di rinunciare alle comodità di una vita tranquilla. Aspiriamo ad essere bene in forma, ma siamo golosi e non siamo disposti a faticare. Che ci piaccia o meno, dobbiamo arrenderci al fatto che non siamo padroni assoluti in casa nostra, ma che dobbiamo fare i conti con una moltitudine di voci interne, figure, personaggi, modelli interiorizzati, parti di noi rimaste ancorate al passato. Non solo durante il sogno, ma anche in stato di veglia possiamo diventare consapevoli della loro esistenza: non occorre essere schizofrenici per avere al proprio interno irruzioni di voci o immagini spontanee, parallele o dissonanti con il corso principale dei nostri pensieri. Talvolta esse sembrano del tutto casuali, semplici distrazioni; in altri casi, invece, pare che esprimano una loro volontà e intervengano con uno scopo. Alcune volte questi interventi sembrano saggi ed evolutivi, altre volte regressivi o distruttivi. Così ci può capitare di sentire al nostro interno un’opposizione, una volontà contraria alla nostra che ci blocca, ci inibisce, ci spinge a comportamenti o scelte che non vorremmo fare. Psicologi, filosofi, neuroscienziati, mistici, ricercatori, sia pure con visioni e sfumature diverse, concordano sul riconoscimento del nostro pluralismo interno. Si parla a questo proposito di società della mente, di mente modulare, di sottosistemi, di livelli evolutivi compresenti, di processi in parallelo, di pluralità degli io, ecc.” [brano tratto da “Subpersonalità e crescita dell’io” di Mauro Scardovelli]
Le subpersonalità quindi, così come si intuisce dal nome, sono piccole personalità, personalità minori. Ognuna di loro con uno specifico bisogno, con una propria volontà e modo di funzionare, che esistono all’interno di un sistema più grande, l’essere umano.
In psicologia sono diversi gli approcci che hanno sviluppato dei modi e delle tecniche che permettono la conoscenza, trasformazione e integrazione delle subpersonalità. Tra questi possiamo ricordare oltre la Psicosintes, altri approcci come la Gestalt, l’Analisi Transazionale, la Psicosomatica PNEI, ecc.
Quali sono le mie subpersonalità?
Proviamo a fare un piccolo esercizio di auto-osservazione. Prendiamo dimestichezza con le nostre subpersonalità.
Fermati un secondo a pensare. Come ti descriveresti?
“Io sono fatto così”, “sono una mamma perfetta”, “un bravo ragazzo”, “un onesto lavoratore”. Sono tutte espressioni dei ruoli in cui siamo identificati. Passiamo da un ruolo all’altro senza accorgercene. Misuriamone la loro forza osservando quanto e in che misura sono presenti nella nostra quotidianità.
Prendi carta e penna
Scegli un tuo tratto o una caratteristica che ritieni fondante nella tua persona.
Può essere utile chiudere gli occhi, porta la tua attenzione a questa parte di te e lascia emergere un immagine che la raffiguri: potrebbe essere una figura immaginaria, una donna o un uomo, un animale o un mostro, qualunque altra cosa o personaggio vi venga in mente.
Soffermati su questo personaggio interiore e lasciate che questo vi parli e si riveli per quello che è. Stila una descrizione dettagliata comprendendo i suoi bisogni e atteggiamenti, fino alle sue abitudini
Per esempio vediamo quella del “bravo bambino”: non deve mai contraddire, deve essere sempre educato, è bravo solo se fa le cose in un certo modo, non deve far soffrire i propri genitori, vengono prima i bisogni degli altri e poi i suoi…
Un passaggio ulteriore consiste, se vuoi, nel porgli delle domande, nel creare un dialogo interiore per conoscerla in maniera via via più approfondita.
Ecco che siamo di fronte ad una subpersonalità a cui, se vuoi, puoi dare un nome che ti potrà essere utile per identificarla ogni volta che ti si presenterà a te (per esempio: la vittima, il bravo ragazzo, il giullare, il giudice, il seduttore, la maestrina, Furio, ecc.)
Bene, questo è il primo passo verso una maggiore conoscenza di noi stessi.
È partendo da qui che possiamo spezzare le catene delle nostre identificazioni ed iniziare a vivere scegliendo consapevolmente i ruoli da impersonificare.
Letture per approfondire:
“Crescere” di Piero Ferrucci – ed. Astrolabio
“L’io e le sua maschere” di Daniele De Paolisi – ed. Istituto di Psicosintesi
“Subpersonalità e crescita dell’io” di Mauro Scardovelli – ed. Borla
articolo magazine “La maschera del contemporaneo” di Francesca Brioschi
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Per consulenze psicologiche, psicoterapia, seminari o altre richieste, puoi scrivere a Gioele D’Ambrosio oppure telefonargli al 339.7098160.
E’ da quando ho iniziato il processo di auto-analisi, introspezione, ecc….che mi sto rendendo conto di qualche falsa maschera. Prima non sapevo affatto che la mia personalita’ era costituita di qualcuna di queste. Mi rabbrividisco al pensiero che piu’ in profondita’ vado con la mia auto-analisi e piu’ ne scopro. Tuttavia per raggiungere quello stato di una liberta’ totale dal falso, debbo continuare a scoprirle tutte per poter smascherare la loro influenza sul mio “io”, che credo sia uno dei fini nella ricercara dell’auto-realizzazione o della vera personalita’. 🙂
[…] tende ad aderire con i ruoli impersonati nelle relazioni sociali – che Assagioli chiama subpersonalità: il figlio, la madre, il bravo studente, il professionista, lo sportivo, il critico, […]
Ho fatto un lavoro molto bello qualche mese fa, introdotto da un amico, in un centro di yoga. Ero ignaro, mi sono affidato. Era un seminario di crescita personale. Beh, il terapeuta era uno psicosintetista, e ci ha fatto lavorare sulle sub-personalità con una rappresentazione teatrale.
è stato molto interessante vedermi in quei ruoli
ci ho visto chiaramente le influenze dei miei genitori e della mia famiglia.
Allora ho voluto approfondire leggendo questo articolo. Grazie, mi è stato utile
ho letto un libro che si chiama “guarire la frammentazione del sè”
l’ho trovato interessante
mi sembra una cosa simile, vero? mi sapete dire qualcosa?
buona giornata
Riccardo
Bozen
Il libro di cui parla è scritto da J. FISHER, la quale nel suo intervento integra vari approcci, tra cui il internal family system che utilizza al suo interno il lavoro sulle subpersonalità, anche se con delle sfumature diverse rispetto alla psicosintesi.
Spero di averle risposto
A presto
grazie.
approfondirò
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