Quando una persona si ammala e di conseguenza soffre, spesso rifugge dalla malattia, la combatte e non la accetta. Ci vuole uno scatto di consapevolezza affinché la persona, in questione, avvii un interrogazione interna. È molto probabile che si ponga alcune domande alle quali però, la maggior parte delle volte, non è in grado di dare una risposta. Perché questa malattia? Perché proprio a me? È inevitabile? È utile?
Continuando ad indagare dentro e fuori se stessi, si potrebbe scoprire che questa ha un senso e la si può integrare anche all’interno della propria vita.
Solitamente infatti ci si può porre in relazione alla malattia in due modi:
come occasione di regressione, di difesa e di chiusura alla vita oppure come opportunità di crescita e di evoluzione in una specifica fase della propria vita.
Per la Psicosintesi la malattia coincide con la difficoltà o impedimento del Sé alla sua completa manifestazione. Il Sé, quindi, si ammala se non riesce ad esprimersi pienamente, a rivelarsi, a rendersi visibile. L’impedimento non dipende dal Sé, ma dal suo strumento di espressione, che è la personalità. Se la personalità ha ricevuto troppe ferite, se non è sufficientemente matura ed armonica, il Sé, o anima, può comunicare la propria presenza solo attraverso il filtro della patologia e i suoi sintomi specifici e in certi casi può essere come costretta a ritrarsi, a nascondersi, fino ad avvolgersi su se stessa.
Un altro punto di vista sulla malattia
Per non perdere l’orientamento è utile fare alcune premesse sul concetto di malattia.
In primo luogo non esistono malattie ma individui malati, nel senso che è importante leggere la malattia all’interno della storia personale di ogni individuo, che è sempre unica e irripetibile.
In secondo luogo ogni malato vive e soffre la sua malattia in modo del tutto particolare, non soltanto per la natura e la gravità della disfunzione, ma anche e soprattutto per le ripercussioni psicologiche e per le conseguenze sociali che la malattia provoca.
In terzo luogo, la malattia non va considerata come un evento esclusivamente biologico, né esclusivamente psicologico o sociale/relazionale, ma è tutto questo messo insieme. Essere malato significa, prima di tutto, essere un altro e subire un cambiamento nel proprio modo di essere.
Ultimo, ma non meno importante, è che il confine fra ciò che si considera generalmente normale e ciò che si considera invece patologico non è netto ma è soggettivo, ossia dipende dall’osservatore esterno (medico, psicologo, psicoterapeuta, etc.).
Cause psicologiche della malattia
Quello che si può intanto affermare è che esistono delle cause psicologiche che possono arrivare a produrre disturbi fisici, oppure neuro-psichici, le cui principali sono: i traumi psichici, i conflitti e le frustrazioni. Ma, affinché queste cause producano dei veri e propri disturbi fisici e/o psichici, affinché facciano per così dire “ammalare”, occorre però che ad esse si aggiungano altre cause o condizioni, tra le quali:
- Un punto debole nel corpo o nella psiche;
- Il trauma o i conflitti siano di una tale gravità o intensità, oggettiva o soggettiva, da superare le normali resistenze; si parla d’intensità soggettiva, poiché l’intensità dell’effetto di un trauma o di un conflitto è in funzione dell’importanza che il soggetto dà ad essi. Uno stesso trauma può esser superato abbastanza facilmente da una persona, o, invece, produrre disturbi anche gravi in un’altra. Questo elemento soggettivo di valutazione è importantissimo, perché è un elemento sul quale si può certamente agire, per esempio nel contesto di una psicoterapia.
- Le reazioni psichiche individuali; le reazioni più frequenti sono due: la paura e la ribellione. La paura porta a uno stato di preoccupazione, d’attesa ansiosa che accentua e fissa i sintomi. Il rifiuto invece è verso ciò che può farci star male; a questo possono far seguito lo sbigottimento, la collera, la depressione, la disperazione, la passiva rassegnazione. La preoccupazione principale diventa per se stessi e per la propria salute psicofisica e si mette in atto un disinvestimento degli interessi affettivi dalla realtà esterna per investirli su di sé. C’è chiusura alla vita e agli altri.
Chi si considera un malato s’identifica non soltanto col proprio corpo, ma anche con la malattia, e perciò è indotto a sentirsi in balia di questa, come posseduto da essa. Quest’attenzione ansiosa rivolta ai propri disturbi, ai propri sintomi, porta ad accentuarli e a fissarli, ossia a bloccarli. In Psicosintesi questo principio della vita psichica è ben spiegato: “Noi siamo dominati da tutto quello con cui il nostro io si identifica. Noi possiamo dominare, dirigere e utilizzare tutto quello da cui ci disidentifichiamo”. In questo principio sta il segreto della nostra schiavitù o della nostra libertà.
La distinzione quindi fra sé e il corpo, e anche fra sé e i mutevoli stati d’animo con cui ci identifichiamo di volta in volta non è facile, ma è certamente possibile e l’unica strada attuabile. Possibile certamente anche attraverso un percorso psicoterapeutico, grazie al quale la persona possa disidentificarsi dal suo “essere malato” e torni ad agire dal centro, dall’Io, senza più complessi e condizionamenti.
Per approfondire:
Thorwald Dethlefsen e Rudiger Dahlke, Malattia e destino, Ed. Mediterranee, 2007
Dott.ssa Cristiana Milla, psicologa e psicoterapeuta. Per avere maggiori informazioni puoi scriverle una mail all’indirizzo cristianamilla@gmail.com o contattarla direttamente al numero 339.6137545.
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