Continuiamo con l’intervista in compagnia di Piero Ferrucci, filosofo, scrittore, psicoterapeuta, docente didatta della Psicosintesi. (Intervista a Piero Ferruci – parte 1) …
A volte mi capita di incontrare delle persone che mi dicono: “Ah, io so tutto del mio disagio, conosco benissimo come sono fatto, so come mai ho questa cosa, mi sono informato su internet, ma penso che non potrà cambiare, non credo che la psicoterapia possa essere utile”. Capiterà anche a te immagino. Cosa ne pensi? Oggi abbiamo a che fare con persone molto informate, la tendenza è a informarci molto. Si va su Wikipedia o su altri siti in internet e ci si informa riguardo al proprio disagio, si cerca l’etichetta che abbassa il livello d’ansia circa l’ignoto. Cosa ne pensi rispetto a questo?
Mah, molto spesso le spiegazioni che vengono date su internet sono di natura abbastanza superficiale. Queste diagnosi su internet sono pericolose. Dipende da chi si informa e su che cosa e come, se è un informazione intelligente. La rete è un luogo per certi versi straordinario, mette in contatto con tantissime conoscenze, però è anche un luogo di falsità e di sciocchezze e di articoli in vendita.
In generale la conoscenza, se prendiamo il motto della psicosintesi “conosci te stesso”, è il primo gradino. Per questo la psicoanalisi certe volte funziona ma molto spesso non è abbastanza, perché è soltanto il primo grado. All’inizio spesso la nostra conoscenza di noi stessi di noi stessi è distorta, conosciamo di noi stessi soltanto quello che vogliamo conoscere, leggiamo nella nostra situazione soltanto quello che vogliamo leggere, quello che ci fa comodo ed è compatibile con l’immagine di noi stessi in quel momento. In realtà dobbiamo andare oltre quella struttura, fintanto che rimaniamo dentro quella struttura magari è una prigione un pochino più grande ma sempre prigione è.
C’è un libro molto bello che si chiama “Mente Zen, mente del principiante” di Shunrju Suzuki, che dice che la mente dell’esperto è piena, la mente del principiante è vuota e quindi pronta per imparare. Si potrebbe chiedere a queste persone: “ Tu che mente hai?”. Se vuoi che succeda qualcosa devi avere la mente del principiante. Si potrebbe dire ai nostri pazienti: “Tutto quello che sai ti invito a metterlo da parte perché anche io metto da parte tutto quello che so”. Questo perché la persona di fronte a noi è una persona nuova, bisogna rimanere aperti, nudi. Ogni nuovo paziente è la possibilità per il terapeuta di tornare un principiante.
E la psicosintesi più aiutarci in questo senso?
Io credo di sì, lo scopo è quello di attingere a una saggezza che non si trova su internet, si trova soltanto dentro di noi. Si attiva la parte più saggia, più intelligente di noi stessi. Come sempre in questo lavoro si tratta di cambiare la propria prospettiva, non di allargarla e di continuare ad avere sempre la stessa visione, ma di cambiarla radicalmente, si tratta di avere un punto di vista diverso.
Tu quand’è che ti accorgi che le persone che lavorano con te hanno cambiato questa prospettiva, quando sono guarite? Cosa significa per te guarigione?
È una domanda a cui non ci può essere risposta unica. La guarigione può essere la scomparsa di un sintomo doloroso, ma la scomparsa di quel sintomo doloroso va di pari passo con altri eventi, tipo il cambiamento di un rapporto, il sentirsi capito, lo scoprire sentimenti che si erano lasciti in disparte, gratitudine per quello che si impara dalla sofferenza. È una domanda difficile da rispondere, è come se mi si chiedesse qual’è la mossa migliore degli scacchi: non so qual è, bisogna vedere ogni situazione singola. Quando una persona è migliorata, sta bene, è guarita, lo sappiamo, lo si sente, però questo non vuol dire che sia perfetta. Vuol dire semplicemente che ha fatto quel passo. A.Tallerini soleva dire: “il paziente è guarito ma ha ancora bisogno di cure”, forse è proprio da questo punto in avanti che una persona inizia realmente a prendersi cura di sé. Sicuramente la cura di sé deve continuare per tutta la vita, nel senso che quella persona deve diventare autonoma e il terapeuta in un’altra maniera deve estinguersi. Il compito di un buon terapeuta è quello di estinguersi. Questo non toglie però che l’estinzione non sia proprio totale, perché magari da un terapeuta si può ritornare a un certo punto per una revisione o per un supplemento di terapia, questo è possibile.
Ma tu quando vedi che un tuo paziente guarisce, come ti senti?
Ah, mi sento molto bene, mi fa un gran piacere (ride)
La psicosintesi terapeutica ha delle aeree di intervento più specifiche, è di elezione per alcuni problemi piuttosto che per altri?
Ci sono dei problemi che sono molto gravi e devono essere affrontati anche con l’aiuto della psichiatria e psicofarmacologia e riguarda tutta l’area delle psicosi. È difficile che la si possa guarire, ci si può lavorare, ci possono essere dei miglioramenti. Invece in tutti i disturbi più lievi, la psicosintesi riscuote dei successi per la maggioranza dei disagi che le persone sentono.
Tu percepisci delle differenza tra la psicosintesi ed altri approcci psicologici in voga oggi? La psicosintesi potrebbe avere un valore aggiunto?
Credo di sì, la psicosintesi è una psicologia del profondo. Le terapie in voga oggi sono spesso molto efficaci per lavorare in maniera veloce su un sintomo che da fastidio. La psicosintesi tende a guardare tutto il paesaggio interiore di una persona. In questo può essere più lenta, anche se la psicosintesi era nata come psicoterapia breve rispetto alla psicoanalisi. L ’idea di Assagioli era quella di accelerare i tempi e aumentare l’autonomia del paziente. Certo altre terapie di tipo cognitivo forse sono più veloci, anche perché prendono meno materiale in considerazione. È da considerare che ci sono delle cose in comune con la psicosintesi, per esempio l’importanza dell’impostazione mentale
che si da al disagio, che si da ad un problema, i monologhi interiori che ripetiamo a noi stessi e che può essere cambiato. Certo quello può funzionare.
Che effetto ti fa vedere il cognitivismo avvicinarsi alla meditazione con l’uso della mindfulness?
È un effetto ambivalente, nel senso che sono contento che venga riconosciuta l’importanza della meditazione, ma anzitutto preferirei venisse riconosciuta l’origine di questa pratica e vorrei venisse usata la parola italiana, mi fa venire un gran nervoso quando usiamo le parole inglesi per qualcosa che esiste in italiano, la parola italiana è consapevolezza. L’origine di queste tecniche è in gran parte buddista, anche se si trovano in altre tradizioni. Nell’antica Roma si diceva “Hoc age” – “Fa’ questo!”, “Fa’ quello che stai facendo!” . L’idea di essere consapevole, di vivere nel presente, si trova anche in varie tradizioni, anche se il buddismo è quello che l’ha maggiormente sistematizzato. La meditazione sul respiro o sul cammino, è una meditazione buddista e non dirlo è un falso storico, bisognerebbe riconoscere da dove si prendono le proprie tecniche. Inoltre non possiamo vedere semplicemente la meditazione come una forma di rilassamento o di esercizio per persone stressate. La meditazione è una tecnica profonda, sistematica, di esplorazione dell’inconscio superiore, è molto di più di quello che viene presentata. Non è solo una forma di riportare l’organismo a una forma di omeostasi. Non c’è il senso del cammino spirituale. Buddha aveva proposto questo cammino per arrivare all’illuminazione spirituale, ed è un cammino che consiste anche in alcune norme di condotta, è un sistema complesso, non una semplice tecnica. Uno può estrarre una meditazione e proporla come rilassamento, ma deve riconoscere che sta utilizzando solo la parte e non il tutto.
Qual è secondo te il futuro della psicosintesi?
Non lo so perché non sono un indovino. Ogni volta che cerco di predire il futuro non ci prendo. Posso dire magari una direzione in cui penso che la psicosintesi potrà essere utile, una delle tante, ed è il ritrovamento dell’interiorità, perché credo che il mondo contemporaneo abbia perso il contatto col mondo interiore. Il senso del lavoro su di sé, del linguaggio simbolico, del sogno, del cammino spirituale, è molto spesso perso, è un bisogno umano non riconosciuto, e questo può creare dei problemi.
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