Possiamo chiederci se la sofferenza, se il dolore abbiano una funzione nel nostro processo di crescita.
Quando il dolore ci coglie di sorpresa la nostra vita sembra arrestarsi, perdiamo i nostri punti di riferimento e ci dibattiamo nel tentativo di allontanarlo, considerandolo come una minaccia alla nostra sopravvivenza, al nostro benessere, alla nostra felicità. Le cause che producono dolore sono molteplici e di ordine diverso. Le reazioni verso il dolore cambiano da persona a persona. Il dolore di un genitore che ha perso un figlio appare come qualcosa di insostenibile, di inumano, di contro natura. Condividere il dolore è un mezzo per liberarci dall’isolamento, facendoci sentire in unione con gli altri esseri viventi.
Il fondatore della psicosintesi, R. Assagioli, pur ritenendo il dolore un elemento inevitabile nell’esistenza umana, mette in guardia dal sopravvalutarlo, dal farne un culto, dal considerarlo così importante da non tentare di alleviarlo.
Le funzioni del dolore
R. Assagioli ritiene che il dolore abbia quattro funzioni particolarmente benefiche per l’essere umano.
La prima funzione consiste nello scuotere l’uomo dalla propria pigrizia mentale e morale, dall’ egocentrismo, dalle routines della vita, favorendone l’emergere delle energie latenti e lo sviluppo della volontà.
La seconda funzione è liberatrice e purificatrice: il dolore libera l’essere umano dagli attaccamenti eccessivi a persone o cose e dalla schiavitù dei suoi impulsi, impedendogli di commettere nuovi errori.
La terza funzione consente di sviluppare l’autodisciplina, permettendo alla persona di ordinare ed organizzare le energie istintuali, emotive e mentali, a favore di attività benefiche e per fini umanitari ed elevati.
La sofferenza inoltre obbliga al raccoglimento ed alla riflessione, inducendo a comprenderne il significato ed intuirne le finalità, rivolgendo l’attenzione al mondo interiore ed alla dimensione transpersonale, spirituale.
Tramite il dolore si sviluppa la compassione, una qualità umana di cui parlano abbondantemente sia la religione buddista che quella cristiana. L’individuo che soffre non può essere lasciato solo, ma ha il diritto di avere persone che, con la loro presenza amorevole, possano aiutarlo ad alleviare lo stato di sofferenza.
Il legame fra dolore e sviluppo della compassione è un punto cardine della prospettiva buddista e della prospettiva cristiana. A questo legame è data grande enfasi in psicosintesi.
La concezione buddista della sofferenza ritiene che essa sia una costante che caratterizza tutto il percorso vitale. Ci sono sofferenze provocate dalle malattie, dalla povertà, dalla morte, dall’invecchiamento ed altro ancora. E’ fondamentale divenire consapevoli del proprio stato di sofferenza al fine del proprio sviluppo spirituale. L’obiettivo fondamentale del percorso spirituale è infatti il raggiungimento della completa liberazione dalla sofferenza, attraverso la volontà e lo sforzo personale nel seguire le indicazioni del Buddha. Il percorso spirituale buddista indirizza chi lo pratica ad abbandonare tutte le azioni negative ed a sviluppare la retta comprensione, il retto pensiero, la retta parola, la retta azione, la retta condotta di vita, il retto sforzo, la retta consapevolezza e la retta concentrazione. Tale tipo di motivazione pone le sue basi sullo sviluppo dell’equanimità, della compassione e dell’amore. Il fine vero della pratica è desiderare che tutti gli esseri umani si liberino dalla sofferenza e possano vivere in una condizione esistenziale che favorisca la loro felicità.
Nella prospettiva cristiana la sofferenza apre l’animo dell’uomo, favorendo una trasformazione significativa di tutto il suo essere che porta ad uno sviluppo dell’arte di amare e di donarsi agli altri.
Concludo cercando di dare un senso alla frase spesso a noi rimandata da chi ha vissuto pienamente: “se non si soffre, non si cresce”, riprendendo quanto espresso dalla Kubler-Ross, una psichiatra che ha dedicato la sua vita alla cura ed all’accompagnamento alla morte di un elevatissimo numero di ammalati di tumore: “La sofferenza è come il Gran Canyon. Il Gran Canyon è così bello che bisognerebbe proteggerlo dal vento e dalla tempesta, ma senza il vento e la tempesta non avrebbe mai potuto essere scolpito così superbamente e quindi non sarebbe mai stato possibile apprezzarne la bellezza“.
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