In questo articolo esploreremo l‘atteggiamento vittimistico nei confronti delle persone e delle circostanze, l’atteggiamento di chi si svaluta e nega la propria forza, evitando di assumersi le responsabilità, cercando di trovare un capro espiatorio da incolpare. Con questo non voglio negare la realtà della sofferenza di chi subisce una qualche forma di abuso, ma intendo porre l’accento sulla possibilità di rialzarsi dopo la caduta, di non lasciarci definire dall’etichetta di “Vittima”, che invece di descrivere ciò che ci è capitato, può arrivare a descrivere chi crediamo di essere.
Inoltre questa “maschera” è implicata nel processo del mantenimento del rancore e quindi un ostacolo ingombrante al processo del perdono.
Nel linguaggio della Psicosintesi, una subpersonalità è un insieme di sentimenti, atteggiamenti, convinzioni, rapporti e comportamenti, che agiscono come una personalità in miniatura, mettendo in moto la realizzazione dei loro scopi al di fuori della nostra coscienza, indipendentemente dalla nostra volontà, o perfino contro di essa.
La subpersonalità della Vittima è caratterizzata da sentimenti di solitudine e tristezza, insicurezza e impotenza, colpa e vergogna. La Vittima può pensare che le altre persone abbiano motivazioni nascoste e che le faranno del male se dovesse abbassare la guardia; può avere la convinzione di essere una persona strana, debole, bisognosa, indegna di rispetto o di amore, generando un dialogo interno negativo e disfattista. Le azioni della Vittima, riflettendo il suo modo di pensare e di sentire, potrebbero andare dal lamentarsi per le situazioni senza far nulla per cambiarle, alla non assertività, all’essere ipersensibile o al contrario sempre sul piede di guerra – dando contro a chiunque e a qualunque cosa tranne la vera origine della propria rabbia; infine tenderà a giustificare la propria inattività e il proprio atteggiamento autodistruttivo. La Vittima potrebbe anche tendere a “consolarsi” con comportamenti autodistruttivi come l’alcol e le droghe, il gioco d’azzardo, lo shopping o il sesso casuale e promiscuo.
Le subpersonalità difensive, come quella della Vittima, hanno al proprio centro il bisogno di difendersi da una ferita ricevuta e nel fare ciò esse negano altre caratteristiche della personalità matura. Ciò che la Vittima nega è la propria forza, mettendosi in una posizione di attesa e di pretesa, e rimanendo offesa e stupita quando gli altri non comprendono i suoi bisogni.
La ferita subita in passato porta con sé un senso di impotenza, come se niente nella sua vita possa mai migliorare. Come risultato di ciò la persona si sente ancora vittima ogni volta che si ripresenta una situazione simile a quella che ha provocato la ferita in prima istanza – ad es. un’imposizione dall’esterno, in cui qualcuno la forza a fare qualcosa che non vuole, o più in generale quando incontra una situazione che percepisce non essere sotto il proprio controllo, allora il controllo lo prende la subpersonalità della Vittima… L’identificazione con la Vittima fa sì che la persona reagisca alle situazioni non dalla consapevolezza e centratura sul “qui e ora” – dall’Io – , bensì a partire dal “lì e allora” in cui è stata ferita, non importa quanto indietro nel tempo.
Chi porta questa “maschera” può essere incline a manipolare e a essere manipolato da altri: lo scopo di tali manipolazioni è quello di invitare gli altri, o meglio provocarli, a reagire in alcune specifiche modalità, al fine di rinforzare e confermare le proprie credenze su se stessi, gli altri e il mondo. in quest’ottica la Vittima sarà probabilmente alla ricerca di un Persecutore e/o di un Salvatore. Cercherà di far sentire in colpa il primo, appuntandolo come l’origine della propria miseria e cercherà l’occasione per sentirsi rifiutato e sminuito da lui. Da parte del Salvatore vorrà invece qualcuno che pensi e agisca al posto suo.
La subpersonalità della Vittima può colorarsi di diverse sfumature, apparentemente anche opposte (Simon, S.B. & Simon S. (1991). Forgiveness. How to make peace with your past and get on with your life. Grand Central Publishing, New York, p. 126):
- ci può essere una Vittima che si commisera, e così facendo allontana da sé coloro che vogliono aiutare e conferma la propria convinzione che non si può contare sulle persone nel momento del bisogno;
- ci può essere una Vittima che per il fatto di essere stata ferita, si sente in diritto di comportarsi in maniera irresponsabile senza curarsi delle conseguenze per sé o per gli altri, pensando che questo possa riparare per tutto il resto che le manca;
- oppure ci può essere una Vittima che non sembra tale: sarcastica, intollerante, ipercritica, una Vittima che ha coperto il proprio dolore con la rabbia, orientandola generalmente verso obiettivi innocui, accusando persone e circostanze pur di non assumersi la parte di responsabilità che le compete.
Ogni volta che viene dato campo libero alla subpersonalità della Vittima, questa si rafforza, intrappolando la persona in una spirale discendente di impotenza; quella della “vittima” diventa un’etichetta che dal descrivere ciò che ci è capitato, arriva a descrivere chi crediamo di essere.
Alcuni spunti di lavoro con la subpersonalità della Vittima
Al fine di modificare questa subpersonalità, o di utilizzare opportunamente le risorse in essa celate, è necessario coordinarla in un’unità superiore, riconoscerla, accoglierla, senza identificarcisi. Il lavoro con questa subpersonalità dovrà prevedere in primo luogo il riconoscimento dei bisogni sottostanti e il concedersi la possibilità di viverli. Il passo cruciale consisterà nell’accettare che chiunque ci abbia feriti “lì e allora” non può soddisfare i nostri bisogni nel qui e ora, e tantomeno possiamo farlo da soli con i goffi tentativi della subpersonalità della Vittima, che non fanno altro che portare a realizzazione quelle stesse paure che la Vittima cerca di allontanare – essere rifiutato, abbandonato, criticato, escluso, ecc. Infine, per uscire da questa identificazione deleteria è necessario trasformare la convinzione di essere Vittima nel riconoscimento del fatto che siamo stati “vittimizzati”; questo passa per il recupero della propria vulnerabilità, il proprio stato prima di essere feriti.
Salve.. il mio ragazzo è uno dal cuore d’oro.. è un tipo sensibile. Però c’è una cosa che mi fa girare le scatole, fa sempre la vittima . io vorreii ke cambiasse xk non fa solo a me ma anke male a lui.. per esempio accade una stupidaggine e dice: hai visto tutte a me capitano ke giornata di mer**a! Si lamenta sempre dice sempre ke ha una vita di m sl xk a volte succedono degli imprevisti, anke stupidi e quando litighiamo mi addossa sempre tutte le colpe e si sente sempre troppo buono… cosa posso fare?
Salve, quella dellla vittima è una maschera subdola, legata alla rabbia che non trova una modalità adeguata di espressione. è una questione di assunzione di responsabilità da parte del tuo ragazzo, tu puoi solo dare un contributo, magari facendogli notare (con empatia) che ha diritto di sentire della rabbia, ma che non capitano “tutte a lui”. Il primo passo per un’espressione più sana della rabbia è riconoscerla (ascoltarla, che cosa realmente mi fa arrabbiare), il secondo è accettarla come parte della nostra esperienza, solo allora possiamo scegliere se e come esprimerla.
Chi fa sempre la vittima è perchè ha capito che è il modo più immediato di ricevere una ricompensa?
In un certo senso sì, anche se mi sembra più completo dire che è la miglior strategia (difensiva) che una persona ha trovato fino a quel momento per soddisfare un proprio bisogno.
Credo di fare anche io la vittima perchè ho bisogno di essere apprezzato e compreso, visto che mio padre non ci è mai riuscito. E ora che mi sono staccato da lui non riesco ancora a staccarmi da questo vittimismo forse perche credo ancora che lui posso capirmi, solo che non vuole farlo e io non so perché. Ha qualche consiglio da darmi?
Grazie mille per l’ articolo e l’ eventuale risposta
Salve Lorenzo, sembra che la maschera della sua vittima tragga il proprio nutrimento da questo bisogno insoddisfatto di riconoscimento da parte di papà. Essendo un bisogno del passato, probabilmente risalente all’infanzia o all’adolescenza, realisticamente nulla sarà mai abbastanza per soddisfarlo ora, tanto più che questo personaggio interiore vittimistico poteva semmai procurare qualche magra consolazione nel passato, ma ora… La vera soluzione sta quindi nell’assumersi la responsabilità di tale maschera e prendersene cura in prima persona, nel presente, senza aspettarsi che qualcun altro lo faccia al nostro posto. Buona vita