Il dilemma fra l’essere e l’apparire è qui inteso come apparire=non essere.
Quando nasciamo SIAMO, ma nel corso del viaggio umano ci allontaniamo dalla nostra più autentica essenza, dal nostro SE’ ed iniziamo ad apparire, cioè ad indossare varie maschere, consolidando modalità interattive “di facciata”, a causa dei condizionamenti subiti e dei ruoli da ricoprire.
I bambini sono pronti a tutto pur di non perdere l’approvazione, la protezione, la sicurezza dei genitori. Arrivano perfino ad accollarsi le colpe dei genitori, pur di salvare l’immagine buona di mamma e papà. Senza tale immagine buona, un bambino non è in grado di sopravvivere in quanto, da un punto di vista psicologico, senza di essa arriverebbe a sperimentare l’abbandono totale, in definitiva la morte. Il bambino è stato respinto non solo da loro, ma da se stesso. “Cosa ha perduto?” si chiede Maslow. “Semplicemente l’unica parte vera e vitale di se stesso. Dal momento in cui rinuncia a se stesso, nella misura in cui lo fa senza saperlo, comincia a creare uno pseudo-sè”.
Apparire = morire
Perdere di vista il proprio centro significa non essere più autentici. Le maschere che indossiamo consentono un adattamento alle situazioni, nonchè una difesa della propria intimità, ma nel contempo inducono un progressivo allontanamento dal proprio centro, dal proprio nucleo vitale: l’individuo si sente smarrito, inquieto, insoddisfatto.
Sono molti quelli che dedicano la propria esistenza a realizzare una loro concezione di come ‘dovrebbero’ essere, invece di realizzare se stessi.
In contrapposizione ad una visione dell’uomo simile ad un robot o un animale, bisognerebbe valorizzare l’autorealizzazione, la creatività e la responsabilità individuale; poiché è fondamentale dare importanza alla dignità del soggetto e allo sviluppo del suo potenziale latente.
Una persona “sana” è quella che giunge alla propria autorealizzazione, al pieno sviluppo delle proprie potenzialità, colei che diventa “ciò che è”, e non un semplice “adattato” della società.
Maslow afferma “Ho visto che diventiamo nevrotici quando perseguiamo uno pseudo-sè e siamo nevrotici nella misura in cui siamo privi di sé”.
La psicosintesi si interroga proprio sul “chi sono?”, “dove sono?”, “dove vado?”, proponendo un percorso di riappropriazione della propria identità, un percorso di autorealizzazione. Seguendo l’ottica psicosintetica, il Sè è presente alla nascita, è l’anima che si incarna in una personalità. La psicosintesi offre degli strumenti che favoriscono la presa di contatto con il proprio Sè.
Il Sè è l’esperienza centrale e fondamentale della vita umana, è l’esperienza da parte dell’uomo della sua vera identità, del suo esserci pieno e totale in relazione profonda con l’esserci degli altri e di tutte le cose, in sintonia con l’esserci di ogni forma di vita e dell’universo intero.
Potremmo dire che ogni gesto d’unione, cooperazione e solidarietà, ogni sentimento espresso e condiviso, ogni espansione di coscienza, ogni verità riconosciuta, ogni atto di volontà, ogni contemplazione di bellezza è espressione indiretta del nostro Sè e tende a farci sentire vivi, autentici e totali ed è dunque questo che dovremmo ricercare, alimentare, coltivare nel corso del nostro viaggio terreno.
Riprendendo A. Alberti, “Se l’uomo si allontana dal suo Sè o ne perde il contatto, avverte il crollo della sua personalità, come se qualcosa si rompesse dentro di lui (perdita dell’unità) e non riesce più ad esprimere la sua peculiarità, a suonare la sua nota specifica (perdita dell’unicità).” La lontananza dal Sè determina nell’uomo uno stato di smarrimento e disorientamento: egli, perduto il suo punto di riferimento, e la sua possibilità di espressione, si confonde, identificandosi ora con l’una ora con l’altra immagine di sé. Il Sè è la nostra anima e tutto ciò da cui esso si sottrae muore e diventa inanimato.
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