L’identificazione con i social è un fenomeno sociale sempre più dilagante.
Ignari del pericolo che corriamo, tutti abbiamo imparato a comunicare la maggior parte delle nostre emozioni, pensieri, progetti e sentimenti attraverso le fotografie, le storie e i commenti che lasciamo sui social a cui siamo iscritti.
Facebook, Instagram, Twitter e molti altri social network hanno sostituito le nostre identità personali, la nostra voce; sono grandi maschere che indossiamo senza più accorgercene, maschere che hanno fatto dimenticare a tutti il senso della relazione.
In un mondo ormai improntato sull’omologazione di massa, la scalata ai Social rappresenta un grave illusione, un pericolo.
“Quanti like ha raggiunto la mia foto? “…è diventato ormai lo slogan di una vita all’insegna dell’apparenza e del qualunquismo, perché pur pensando di distinguerci ci mescoliamo ancora di più nel mondo delle IDENTITA’ VIRTUALI che di reale hanno ben poco.
Diventiamo quello che postiamo! Ci identifichiamo soltanto con le storie e i commenti che anonimi sconosciuti lasciano sui nostri profili e viviamo nell’illusione che se piaccio sono, se vengo “seguito” esisto e se riesco a fare “like” ho un valore.
Ma tu quanti like hai?
Che cosa sono i like? I like sono dei simboli di approvazione che vengono messi sotto alle fotografie e ai post che le persone lasciano sui social; quando visualizziamo qualcosa che ci piace mettere un like serve a far capire alla persona che stiamo seguendo che ci piace quello che ha pubblicato.
Più like hai, più saprai che sei seguito e soprattutto che sei approvato da “tanti”.
Ma chi sono questi “tanti “non ha molta importanza anche perché i nostri profili social spesso non sono impostati con restrizioni di visibilità agli amici. Spesso le persone decidono di avere dei profili pubblici proprio perché più diventano visibili, più persone possono seguirli e più like possono accumulare.
Più persone = più like
Più like = più visibilità
Più visibilità = più valore
Arriverà un giorno in cui quando conosceremo qualcuno non chiederemo quale sia il suo nome ma solo quanti like ha!
L’attenzione ai like toglie attenzione al Sè
Partiamo dal presupposto che la relazione si basa sullo scambio umano. La relazione è frequentare l’altro, condividere delle esperienze, dialogare con lui, empatizzare, stare vicino, progettare esperienze insieme.
A mio avviso l’idea dei social come mezzo di comunicazione di massa era stato in origine un buon mezzo per facilitare le relazioni.
Prima dell’avvento dei social chi non aveva una grande vita sociale non aveva molti amici. Ad esempio le persone più timide o con difficoltà relazionali erano recluse nella loro zona di confort dalla quale non uscivano. Tutti quelli che per vari motivi non riuscivano a coltivare relazioni, erano in qualche modo invisibili e soli.
I social hanno dato la possibilità a chiunque di aprirsi, di affacciarsi su quella finestra virtuale e iniziate a dialogare con altre persone, seppur in un modo diverso da quello della vita reale. E questo movimento di informazioni e questa condivisione di contenuti hanno portato ad una maggiore integrazione sociale da vari punti di vista.
Ma purtroppo questa integrazione virtuale in breve tempo si è trasformata in una droga virtuale, in una vera e propria dipendenza, una galera nella quale tutti più o meno ci siamo reclusi.
Adulti, adolescenti e bambini passano intere giornate per non dire le loro intere esistenze di fronte allo schermo di un cellulare o del computer per controllare, postare, taggare, visualizzare profili di amici e sconosciuti. Ore ed ora a curiosare nella vita degli altri e ad inventarsi profili sempre più accattivanti per racimolare like e commenti positivi su aspetti reali o ideali delle loro vite.
L’illusione che ne deriva è di far parte di una grande rete di integrazione ma non ci accorgiamo che siamo solo confusi dalle quantità , perché in definitiva siamo caduti nella rete dello anonimato.
Diventiamo sempre più centinaia di migliaia di anonimi che si interfacciano attraverso post virtuali e like, perdendo totalmente di vista i colori che dovrebbero avere le relazioni.
Siamo così tanto dipendenti da tutta questa illusione che la maggior parte delle volte le persone organizzano eventi, vacanze o esperienze emozionanti solo per metterne testimonianza su Facebook, per essere visti e commentati dalle masse. Ho visto persone ai matrimoni farsi selfie e video su Facebook per postarli in diretta. Altri che si buttano col paracadute col cellulare in mano per farsi foto e pubblicarle, perdendo di vista l’esperienza che stavano facendo. Chi gareggia a postare la vacanza più bella, dimenticando totalmente la privacy che ognuno di noi dovrebbe gelosamente garantire alla famiglia e a se stesso ed altri ancora mascherare cani e gatti in modo assurdo solo per condividerlo con sconosciuti che come loro acquisiscono visibilità in quel modo.
Ma la cosa più assurda di tutte a mio avviso è sicuramente l’utilizzo dei social per salutare o comunicare con persone defunte. Ormai questa comunicazione è diventata normale, quotidiana. Chiunque di voi può aprire Facebook adesso e verificarne l’attendibilità. Chi porge il suo ultimo saluto al fedele amico a quattro zampe postando foto di quando era in vita, come se il cane potesse avere Facebook e magari mettere un like al padrone, oppure semplicemente per ricevere decine e decine di commenti di amici e non che salutano a loro volta l’animale ormai trapassato.
E questo accade anche con le persone, con i nostri cari defunti.
Figli che salutano il genitore morto e condividono il loro dolore con chiunque possa leggere il post. E così via fino ad arrivare ad altre forme estreme di saluto virtuale che a mio avviso denotano soltanto o una estrema solitudine e un totale inconsapevolezza di quello che stanno vivendo, oppure una mania di esibizionismo inconsapevole che rischia di portare la persona a perdersi nelle maschere che indossa senza più la possibilità di ritrovarsi.
Carissimi anonimi virtuali, taggatori seriali che scandite le vostre giornate battendo i pollici sul cellulare dallo schermo bollente per lo sforzo che gli state chiedendo; FERMATEVI UN ATTIMO A GUARDARE COSA STATE FACENDO.
Se soffrite per qualcosa chiamate un amico, una persona vera che conoscete e che sapete che vi vuole bene e sfogatevi con lui.
Se avete una gioia da condividere parlatene a qualcuno guardandolo negli occhi e se proprio non avete nessuno con cui parlare uscite fuori da casa, passeggiate in mezzo alla natura e raccontatelo a voi stessi quello che state vivendo, scrivetene, disegnatelo, trovate forme alternative di comunicazione . O magari, per non gettare totalmente i social, ormai parte della nostra genetica, postate una bella lettera che parli di voi, delle vostre difficoltà magari o di una gioia ancora non condivisa e aprite un dialogo con chi avrà semplicemente voglia di leggere e di conoscervi, con qualcuno che magari come voi ha voglia e bisogno di condividere e creare nuove relazioni da coltivare nel tempo. Facebook, Instagram potrebbero diventare anche solo piccoli trampolini di lancio per relazioni che da virtuali possono crescere e trasformarsi in “reali”!
Incoraggiamo il contatto umano, la presenza, l’ascolto. Questi tre aspetti, alla base anche della psicoterapia, rappresentano elementi indispensabili per sentirsi parte di un “Tutto”, elementi di un sistema universale a cui tutti apparteniamo. E se apparteniamo a qualcosa e se facciamo parte di un “Tutto”, allora non siamo soli.
Dott.ssa Gaia Spagnoli psicologo-psicoterapeuta psicosintetista.
Per info corsi e terapia, anche su Skype, contattate il numero 347/7620657.
Dottoressa ho appena visto il film “The Social Dilemma”, ho provato inizialmente incredulità, poi rabbia, alla fine sconforto. non so come uscirne.
Lei scrive di incoraggiare il contatto umano, la presenza e l’ascolto. Le faccio un esempio, siamo andati a farci una passeggiata domenica, perchè speravo di alimentare il contatto umano con i miei amici, ma non si è avverato. Ero l’unico a interessarsi a questa cosa. Come si fa? mi sento un alieno.
grazie per l’articolo