La via che conduce dall’idealizzazione infantile dei genitori all’autonomia della maturità è assai lunga. Tale confronto conflittuale può essere vissuto per la prima volta con una coloritura affettiva quando l’individuo entra in contatto con gruppi, scuole di pensiero, ideologie, con un partner, con i figli….
Quando nella pubertà o nell’adolescenza abbandoniamo il mondo ideale dei nostri genitori, non compiamo certo questo passo per ritrovarci soli. Ci aggreghiamo a gruppi, troviamo altre idee, nuovi modelli, le cui idee ci appaiono più convincenti di quelle dei nostri genitori. Tali modelli possono essere costruiti da persone che conosciamo e delle quali siamo convinti che siano più aperte ed intelligenti di noi. Oppure può trattarsi di personaggi contemporanei, che non conosciamo, ma che ammiriamo da lontano, o ancora infine di gente famosa, di fondatori di movimenti politici, di ideatori di grandi teorie o qualcosa di simile.
Cosa spinge alle varie forme di dipendenza?
Spesso insorge il bisogno di cedere alla dipendenza quando si sperimentano dei vissuti che contengono la minaccia del non essere. Il sentirsi disonorevole, colpevole, inetto, impotente, ad esempio, crea una posizione di vulnerabilità che può portare alla disgregazione. Il sentirsi immeritevole, non amato e sbagliato induce un vissuto di sradicamento.
Un aspetto del forte potere che le dipendenze hanno su l’essere umano è il permettere di sottrarsi al pericolo del non essere.
Il processo di dipendenza racchiude in sé non solo il tentativo di evitare il non-essere, ma anche una richiesta di esistere.
La dipendenza porta ad un potente e distruttivo circolo vizioso nel quale ciclicamente attraversiamo fasi positive e fasi negative. La forte interazione tra due polarità (positiva e negativa), tra ciò che i Buddisti chiamano “separazione e attaccamento”, pervade l’esistenza umana.
Per sfuggire al senso di abbandono, ad esempio, si può diventare dipendenti da una particolare relazione, che procura un senso di appartenenza e per quanto distruttivo questo rapporto possa essere per sé o per l’altra persona, se ne resterà schiavi, spinti da terrore abbandonico e attratti da speranza di appartenenza.
Se percepiamo un senso di vuoto e di mancanza di significato nella vita, potremmo diventare dipendenti dal sesso e dalle relazioni, dai figli e dalla famiglia, dalla fama e dalla ricchezza, in modo da sentirci realizzati e motivati. Questa dinamica porta al formarsi di una globale personalità di sopravvivenza, una personalità accettabile e perfino vincente, che nasconde le più profonde esperienze di isolamento, di vuoto e di scarsa autostima.
Charles Whitfield sottolinea la disfunzionalità della famiglia e della società come causa centrale della prima ferita umana -il non essere-ma queste ferite sono profondamente represse nell’inconscio. Da questi “traumi nascosti” si sviluppano sentimenti come abbandono, vergogna e vuoto che alla fine si esprimono in dipendenze chimiche, disordini alimentari e rapporti compulsivi.
Verso l’autonomia
Ognuno di noi è dipendente in qualche misura. Il bambino è forzatamente dipendente dai genitori ed un “sano” rapporto di dipendenza porta, nel corso della crescita, ad una “sana” autonomia. Noi tutti, anche da adulti, abbiamo bisogno di approvazione, validazione, ammirazione da parte “dell’altro”.
La dipendenza potrebbe essere definita “patologica” quando l’individuo non è in grado di prendere decisioni da solo, è insolitamente sottomesso, ha sempre bisogno di rassicurazioni e non è in grado di “funzionare bene” senza che qualcuno si prenda cura di lui.
E’ importante capire cosa sussiste dietro tali atteggiamenti. Un atteggiamento sottomesso verso gli altri può avere una miriade di significati. Proprio coma la persona “evitante” evita di esporsi come risultato di molteplici fattori inconsci, l’individuo “dipendente” cerca chi si prende cura di lui a causa delle ansie che sono presenti al di là dell’apparenza. Bisognerebbe chiedere al soggetto: “che cosa c’è che la spaventa a proposito dell’indipendenza o della separazione?”. L’aggrapparsi dipendente spesso maschera aggressività e dunque può essere visto come una formazione di compromesso, nel senso che difende dall’ostilità che contemporaneamente viene espressa.
Per avviare il processo che porta all’autonomia è necessario riuscire a fare delle associazioni sulle origini della propria dipendenza e delle proprie paure ad essa associate, entrarci in contatto per poi distanziarcene con consapevolezza. Questo processo porta al riappropriarsi di se stessi, libera da una sorta di prigionia che va ad attivare una piena e libera manifestazione di Sè.
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