La “psicoimmunologia” è quel campo di studi che indaga sulle interazioni fra stati mentali e difese immunitarie su come le situazioni di stress influiscono su tali difese, facilitando l’insorgenza della malattia.
Cosa succede nell’organismo?
La psicoimmunologia ha evidenziato alcuni fondamentali meccanismi in base ai quali lo stress deprime l’attività immunitaria dell’organismo, riducendo le funzioni difensive di alcuni linfociti presenti nel sangue ed aumentando, così, la possibilità di attacco da parte di batteri e virus.
Le indagini condotte hanno messo in rilievo l’esistenza di legami, mediati da “messaggeri” chimici, fra la mente e le cellule immunitarie, che agiscono secondo il seguente schema: di fronte a segnali di pericolo l’organismo reagisce con la messa in moto di messaggi nervosi e l’emissione di sostanze chimiche. Gli “ordini” iniziali partono dall’ipotalamo e dall’ipofisi (collegata con le ghiandole surrenali) che emettono steroidi chimici, i quali esercitano un effetto depressivo sul sistema immunitario. Nello stesso tempo, gli stimoli elettrici inviati attraverso le vie di conduzione nervosa alle ghiandole surrenali provocano la secrezione di adrenalina e di altre sostanze chimiche chiamate catecolamine. Anche un’altra classe di inibitori naturali morfina-simili vengono attivati dalla situazione di stress: le endorfine. Il flusso delle catecolamine agisce direttamente sul cuore e sui vasi sanguigni determinando una frequenza dell’aumento del polso, del respiro, della pressione, ossia uno stato di eccitazione. Quando questo stato di “allerta” si ripete con eccessiva frequenza ed il meccanismo descritto si cronicizza, allora la situazione si fa pericolosa.
I fattori di stress
Quali sono i fattori capaci di innescare questo processo? E’ a livello della individuazione dei fattori di stress che esistono le maggiori disparità di vedute, proprio perché i pericoli che si incontrano nella vita odierna non sono solo di origine fisica o materiale, ma anche di natura psicologica. Una disparità di prospettive risulta evidente dall’analisi delle varie scale di misurazione dello stress che interpretano differenziazioni di fattori: a) fattori individuati soprattutto dalla perdita di una relazione affettiva importante in eventi di particolare rilievo; b) fattori relativi a piccoli ma costanti perturbamenti della vita di ogni giorno che definiscono “la qualità della vita”.
Comunque, il tentativo di misurare la quantità dello stress, ossia il turbamento emotivo e di disagio provocato dagli eventi della vita, deve di necessità fare i conti con l’interpretazione che l’individuo dà di questi eventi: non sono gli eventi in sé, ma la modalità con cui l’individuo “si confronta” con essi a determinare lo stress.
Tuttavia lo stress non è in se stesso una condizione patologica dell’organismo, bensì una reazione “adattiva”, fisiologicamente utile, correlata alla sopravvivenza dell’individuo, del gruppo e della specie: stress lievi, non prolungati e non eccessivamente frequenti, possono avere un effetto positivo ai fini dell’accrescimento delle prestazioni e delle capacità di sopravvivenza.
Qualsiasi tentativo di difesa dallo stress presuppone la consapevolezza degli stimoli, anche se mimetizzati sotto forma di situazione stressante: la loro analisi, poi, consente di distinguere tra quelli difficilmente gestibili e quelli che si possono liquidare o ai quali ci si può sottrarre con relativa facilità. Il comportamento primario di risposta agli stressors resta quello di lotta o fuga che, però, può declinarsi in una gamma di comportamenti assai vari e sfumati, molti dei quali sono socialmente accettati e perfettamente compatibili sia con le regole di convivenza che con il rispetto di sé. Il riconoscimento degli stressors, quindi, è il primo passo da compiere per difendersi mediante comportamenti adeguati. Talvolta ciò è oggettivamente difficile: più spesso sono delle autolimitazioni o dei conflitti interni che alimentando il timore, irrigidendo la flessibilità e riducendo la capacità di trovare soluzioni comportamentali appropriate, fanno apparire difficile ogni tentativo di gestire gli stressors.
Se la situazione di stress perdura da tempo e se si vuole impedire che la goccia faccia traboccare il vaso, sarà opportuno evitare, nei limiti del possibile, l’esposizione a nuovi stress gestendo meglio il tempo libero, evitando gli eccessi e la ricerca di situazioni eccitanti, come pure un’attività sportiva (senza competitività) può dare un effetto equilibrante sull’attività neurovegetativa dell’ansia e delle tensioni esercitando un preciso effetto anti-stress.
Ciò che è indubbiamente di aiuto nell’autogestione dello stress è l’apprendimento e l’applicazione continua ed attenta del rilassamento muscolare. A livello ipotalamico esistono due aree che svolgono una funzione opposta: la stimolazione dell’una produce le stesse manifestazioni somatiche che si verificano nella risposta d’allarme; la stimolazione dell’altra, invece, dà luogo ad una particolare risposta che è stata chiamata da Benson “risposta di rilassamento”, che può essere indotta con tecniche di gestione dello stress quali il Training Autogeno, la tecnica di rilassamento progressivo di Jacobson….C’è un preciso rapporto tra entità del rilassamento muscolare e nascita di stati emotivi opposti all’ansia.
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