Quante volte abbiamo provato panico? Esperienze spesso devastanti che non riusciamo a controllare, né a spiegare. Panico, panico… Perché il corpo improvvisamente è stato scosso da tremori incontrollabili? E perché ha vissuto terrificanti sensazioni di smembramento? E ancora…perchè il cuore e la testa sembravano schiacciati da una morsa a tenaglia ed il respiro non fluiva più in modo naturale, tanto da ingenerare un senso di sopraffazione e di soffocamento? Panico.
Cosa si nasconde dietro alle crisi di panico? Una interpretazione archetipica
L’irruzione del panico segna uno spartiacque che contrappone l’esperienza di “un prima” caratterizzato da una vita normale, a “un dopo” in cui la stessa persona stenta a ritrovare un equilibrio, seppur minimo, nei propri ritmi quotidiani.
Il ricordo della paura provata diventa una ferita impressa come un tracciato indelebile nella memoria soggettiva, spingendo l’individuo ad interrogarsi ossessivamente sui “perché”.
Dalla descrizione dei vissuti soggettivi di panico sembra che gli individui siano precipitati negli inferi, in cui forze incontrollabili hanno avuto la meglio sulla coscienza. La parola Inferno evoca l’immagine mitologica di Pan, il dio pagano figlio di Ermes e di una ninfa dei boschi. Alla radice del termine Panico, c’ è Pan. Se il Panico deriva da Pan, si potrebbe ipotizzare che ciò che si agita nella psiche del soggetto sia una uno scontro efferato tra Eros e Thanatos, una lotta all’ultimo sangue tra la spinta verso la vita (eros) e l’altra verso l’annullamento e la morte (thanatos).
La vertigine, il blocco del respiro, il tremore degli arti o alla testa, la morsa al cuore e al cervello o quant’altro, sono lì per ricordare all’individuo che non è più possibile condurre la vita che ha sempre vissuto.
A fronte di una coscienza apparentemente in grado di contenere e controllare tutto, c’ è il corpo risvegliato da Pan che grida con forza di essere ascoltato. Il corpo, attraverso il sintomo, diventa la voce di quelle parti psichiche dimenticate, soffocate a volte sin dall’infanzia, che ora non è più possibile ridurre al silenzio. Pesanti difese sono intervenute nel corso degli anni per zittire quelle stesse parti che adesso, attraverso il disagio somatizzato, ritrovano vigore per non lasciarsi più trascurare. E’ attraverso il sintomo che si manifesta l’unità di psiche e soma.
Il sintomo come simbolo
Rifacendoci al mito, sappiamo che Pan ha subito un abbandono da parte della madre, ninfa dei boschi “Appena l’ebbe partorito, la madre saltò su e fuggì via senza lasciar nessuno che nutrisse il bambino…” (K. Kerenyi, Gli dei e gli eroi della Grecia). La dimensione di morte espressa nei sintomi del panico, potrebbe forse richiamare un antico abbandono. Spesso il terrore panico della morte rimanda alle fasi più arcaiche dello sviluppo evolutivo. L’angoscia riattualizzata nel panico può essere assimilata alla stessa angoscia del “lutto” subito, a quella antica perdita mai sanata attraverso i meccanismi difensivi e riparativi. Apparentemente i soggetti sembrano riuscire a far fronte a tutto ciò che riguarda loro stessi e le persone care, sono persone capaci di sobbarcarsi i più grossi sforzi sul piano emotivo, hanno un approccio alla vita quasi sempre attivo e propositivo, teso ad occultare la fragilità del loro IO ferito.
E’ necessario allora ridefinire le “metafore” utilizzate dal corpo per comunicare simbolicamente la sofferenza psichica. Il simbolo disvela l’inconscio; quest’ultimo però è depositario non soltanto dei contenuti rimossi, ma anche e soprattutto delle istanze progettuali e prospettiche dell’individuo. Può risultare alquanto difficile accettare che in quel dilagare di sintomi panici ci sia un progetto di trasformazione e che il sintomo si manifesti proprio per ricordare che l’equilibrio precedentemente strappato ricorrendo alle difese, ora non sia più funzionale. Questa presa di consapevolezza impone di cominciare a cercare un nuovo equilibrio o sintesi più sana, andando a rivisitare la propria storia psicologica e collegandola ad una dinamica energetica nuova.
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